Saturday, January 21, 2006

Metallica - St. Anger (Vertigo, 2003)


A vent’anni dal debutto e dopo aver venduto più di ottantacinque milioni di dischi in tutto il mondo i Metallica osano ancora. Che vogliano o debbano farlo è un altro discorso. St. Anger, come i loro precedenti album, spezzerà il pubblico in due, ma è proprio questo il risultato cui mira; con buona pace di chi ancora si ostina a considerarli più come un’istituzione di integrità metallica (scusate il gioco di parole) che come una band che della propria musica ha fatto una - assai lucrativa - professione.
Mai come oggi infatti il binomio proposta artistica/coerenza stilistica viene messo in gioco sin dalla produzione: chi si aspettava le (ormai) usuali chitarre ribassate e batterie sintonizzate su basse frequenze rimarrà sorpreso.
L’approccio è assai crudo, quasi garage e, magie della tecnologia, sembra di trovarsi in una sala prove, similmente a quanto accadeva nell’ultimo lavoro in studio dei Pearl Jam. Lars Ulrich pesta sui tamburi come da anni non faceva anche se l’effetto somiglia (fortunatamente) più ai White Stripes che non ai Korn, valga su tutti un rullante che tanto ricorda quello della John Spencer Blues Explosion.
Le chitarre, dal canto loro, beneficiano dell’usuale trattamento imposto dalla collaudata regia di Bob Rock, già ampiamente definita nei tre precedenti dischi, idem per un basso praticamente assente dal missaggio finale e non è un caso che lo stesso produttore lo abbia suonato, essendosi nel frattempo dileguato il transfuga Jason Newsted, da poco rimpiazzato stabilmente da Robert Trujillo.
Gli undici nuovi brani spingono costantemente sull’acceleratore ed, astutamente, i più diretti (Frantic e la titletrack) sono posti in apertura e non tarderanno a diventare futuri classici del gruppo. In particolare St. Anger beneficia di una scrittura scintillante tra parti melodiche, assalti all’arma bianca quasi hardcore ed un groove letteralmente contagioso. Di contro, Some Kind Of Monster (in cui Hetfield sperimenta goffamente cadenze simil hip hop), Dirty Window e My World sono composizioni interlocutorie ed arrangiate in maniera tutt’altro che convincente; il livello si rialza un po’ con Shoot Me Again, tra parti cantilenanti che ricordano gli Alice In Chains ed improvvise esplosioni elettriche bilanciate da una dinamica base ritmica; discorso questo in parte valido per la seguente Sweet Amber, quasi un’outtake del periodo Load. Magnifica The Unnamed Feeling, una delle canzoni migliori del lotto: apertura arpeggiata in pieno stile Metallica, chitarre in crescendo epico, malinconico refrain e ripartenza a razzo; di contro, Purify risulta minacciosa soltanto nel titolo: cinque minuti di noia assoluta all’insegna della più profonda stasi creativa.
Memorabile invece la conclusiva All Wthin My Hands, grande esempio di versatilità stilistica marchiata dall’interpretazione di James Hetfield, misurato nelle parti più crepuscolari (Nick Cave in versione metal?) e psicotico in un pazzesco finale dove sembra sputare i polmoni in pieno stile Tom Araya urlando come un forsennato: "…kill…kill…kill".
In conclusione, St. Anger non sarà radio-friendly come il famigerato (nel bene e nel male) Black album; nemmeno è accostabile ai classici thrash degli esordi, seppur sia dotato di un approccio alquanto frenetico che ricorda addirittura Kill’ Em All.
Sicuramente pecca di prolissità, sarebbe stato opportuno ridurre il minutaggio finale, davvero eccessivo; altresì è auspicabile che la band, nei prossimi lavori, si distacchi dalla partnership con Bob Rock, ormai eccessivamente consolidata e giunta al capolinea. Tuttavia, è innegabile che questo disco abbia una forte carica emozionale, cosa difficilmente prevedibile dopo le imbarazzanti derive di Load e Re-load. I Metallica (per necessità artistica o convenienza commerciale sta a voi deciderlo) si rimettono ancora una volta in discussione riappropriandosi del significato originale del loro nome.
Ed in fondo, è proprio questo ciò che ci si augurava.

© CM 2003

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