Sunday, June 25, 2006

Portishead - biografia


Definire la proposta dei Portishead - il nome è quello di un quartiere di Bristol - come semplice Trip Hop equivarrebbe a limitarne l’importanza filologica; in realtà, le loro non sono semplici canzoni, bensì mini sinfonie, colonne sonore di film costruiti sulle nevrosi quotidiane ed ambientati nelle realtà suburbane. Se è quindi innegabile che rappresentino la band leader - se non addirittura quella originatrice - dello stile Trip Hop, è altrettanto vero che si spingono ben oltre i limiti di un genere definito. Formati da Geoff Barrow (produttore ed autore per Neneh Cherry del brano Sunday), l’ingegnere del suono Dave McDonald, il chitarrista di estrazione Jazz Adrian Utley e la magnetica vocalist Beth Gibbons, rappresentano il classico esempio di come quattro personalità alquanto eterogenee possano dar vita a qualcosa di assolutamente originale. L’album d’esordio, Dummy (Go Disc, 1994), è una collezione di mantra crepuscolari che rimodellano stilemi presi direttamente a prestito da compositori quali Angelo Badalamenti, David Arnold e Barry Adamson, rivisti in un’ottica neo-Soul (l’ugola della Gibbons) ed ammantati di un perfezionismo tecnologico (scratch, basi campionate, frammenti lounge anni 60) dove lo studio di registrazione diventa protagonista alla pari degli altri strumenti usuali. Roads è puro melodramma cinematico: archi maestosi spezzati da chitarre fluttuanti che contornano il glaciale sussurro della Gibbons, quasi una Sade in versione Dark. Mysterons è elettronica da camera, It's A Fire è scandita da un organo di chiesa gospel, Strangers è un gioco di incastri tra soul d’annata, echi e poli-ritmi. Sour Times ricorda le composizioni orchestrali di Nino Rota rinforzate da puntuali interventi della chitarra di Utley, Numb è costruita su plumbei tempi Dub affini ai concittadini Massive Attack mentre la conclusiva Glory Box è un Blues hi-tech, ideale tributo a Bessie Smith e Billie Holliday. Non sorprende che un disco di tale spessore superi il milione di copie vendute, nonostante il gruppo si rifiuti di pagar pegno alle necessità estetico-visive (rarissime le foto promozionali, altrettanto assenti gli usuali gossip, assai spartane le esibizioni dal vivo, con una Gibbons perennemente aggrappata al microfono). Il successivo Portishead (Go Beat, 1997), accentua ulteriormente la cupezza di fondo. Le liriche diventano ancora più amare (Undenied, uno dei brani più pessimisti della loro intera produzione), la componente Jazz viene accentuata (la stupenda All Mine e Western Eyes) e sconfina ora nel requiem Blues (Over, ballad da giorno del Giudizio Universale) ora nel dramma teatrale (Humming). La trasversalità stilistica che aveva contraddistinto l’album d’esordio ha un degno seguito in Half Day Closing, un pastiche sonoro composto da mille e più frammenti (patterns percussivi, diverso registro canoro, chitarre multiformi) che si incastrano come in un mosaico bizantino. Rispetto a Dummy si nota una volontà di allontanarsi dai clichè dell’elettronica in favore di una maggiore ricercatezza trans-generica, per un suono probabilmente meno caldo ma infinitamente più cerebrale (ovviamente sempre nel classico contesto della forma-canzone) che cela una profonda ricchezza intellettuale (i campionamenti rimangono curati con assoluta maniacalità). Beth Gibbons, più che un’algida musa incastonata tra battute in bassa frequenza, sembra una folk-singer tormentata trapiantata in un ambito di avanguardia electro; conseguentemente, tanto il grande pubblico che lo - sterminato - stuolo di imitatori ne rimangono disorientati. Dato alle stampe un disco dal vivo (Roseland NYC Live, Go Beat, 1998) la band scompare nuovamente tra le nebbie della natia Bristol, dispersa in un prolungato hiatus interrotto soltanto da alcune uscite solistiche. Nel 1999, infatti, Adrian Utley mette in circolazione un EP - Warminster (Ochre, 1999) - indirizzato verso l’elettronica più sperimentale.Tre anni dopo, Beth Gibbons, affiancata da Paul Webb (compositore degli O’Rang), realizza Out Of Season (Go Beat, 2002), un lavoro atemporale e completamente fuori dalle mode, pregno di magniloquenti suggestioni orchestrali (Mysteries) e richiami all’epoca dell’easy listening (Tom The Model, Romance); l’amore per il Jazz da night-club fumoso riemerge invece nella superba Show. I Portishead sono da tempo impegnati nelle registrazioni del terzo album, la cui data di uscita ha già subito parecchi posticipi e rimane al momento sconosciuta.

© CM 2006

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