Sunday, June 25, 2006

Megadeth - biografia



Dave Mustaine è uno degli inventori delle sonorità Thrash Metal, senza ombra di dubbio una delle personalità maggiormente dotate di carisma e talento in una scena letteralmente costruita sulle fondamenta gettate dai suoi gruppi, i Metallica e - soprattutto - i Megadeth.
Estromesso polemicamente dai primi nel 1983, Mustaine (affiancato dal batterista Mike Leswick e dal chitarrista Robbie Cromwell) dà vita ai Fallen Angels, un ensemble che dura soltanto sei mesi, abbandonato per concentrarsi sulla nuova creatura, i Megadeth. Di questi ultimi fanno inizialmente parte il vicino di casa David Ellefson (basso), Lee Rash (batteria) ed, addirittura, Kerry King (chitarra), che milita nell’altra band estrema della Los Angeles del periodo: gli Slayer.
Dopo alcune urticanti apparizioni dal vivo ed il primo episodio di una girandola di avvicendamenti nella line-up che diventerà purtroppo una costante (Chris Poland subentra a King che decide di concentrarsi sul suo gruppo principale, mentre Rash è sostituito da Gar Samuelson), i Megadeth danno alle stampe l’album di debutto. Killing Is My Business…And Business Is Good (Combat, 1985), inficiato da una produzione deficitaria (oltre che da un songwriting ancoro acerbo), non regge però il confronto con l’opera prima dei rivali Metallica (Kill’em all, Megaforce, 1983).
E’ la prestazione dietro il microfono di Mustaine a non convincere: le sue rauche urla male si sposano con sferraglianti cavalcate in pieno stile N.W.O.B.H.M. (Loved To Death, una delle più riuscite) ed anche gli arrangiamenti non sono adeguatamente curati (se non in The Skull Beneath The Skin od in Mechanix, variante di uno dei primi brani dei Metallica, Jump In The Fire). Tutto ciò non impedisce al disco di diventare un autentico caso: il passaparola underground tra i fans, sempre affamati di sonorità oltranziste, porta alla vendita di oltre 200.000 copie ed i Megadeth sono messi sotto contratto dalla major Capitol.
La conseguenza più immediata è che il secondo album - Peace Sells…but Who’s Buying? (Capitol, 1986) - rappresenta un enorme salto di qualità. Aiutati dalla valida produzione dell’esperto Randy Burns i Megadeth danno alle stampe quello che - a ragione - dovrebbe essere considerato il loro “vero” album d’esordio. Le trame di chitarra acquistano rilievo strumentale, una Babele di intrecci ritmici e melodie sofferte che, negli anni, diventerà un trademark inimitabile; Mustaine convince sia per una - pressoché inedita - enfasi vocale che per composizioni dinamiche ed originali. Con i singoli Wake Up Dead e Peace Sells sino a Devil’s Island passando per My Last Words (bordata Speed al cardiopalma), il gruppo dimostra una coesione notevole, accostabile soltanto a quella dei contemporanei Metallica. Dal punto di vista dei temi trattati Mustaine mette da parte alcuni clichè tipici del “Rock duro” per concentrarsi su argomenti più reali (vedasi l’impegnata title track). Brillante poi la rilettura di I Ain’t Superstitions, un classico di Willie Dixon, ibrido Blues-Speed Metal che svela uno dei tanti lati nascosti della multiforme personalità del fulvo cantante.
Due anni dopo - pericolosamente vissuti, in quanto l’intera band è afflitta da gravi problemi di dipendenza da droghe - arriva So far… So Good… So What (Capitol, 1988), terza fatica sulla lunga distanza preceduta da un terremoto nella formazione: Poland e Samuelson sono bruscamente licenziati per far posto a Jeff Young e Chuck Behler. I rinnovati Megadeth si ripresentano con un altro colpo vincente; il solismo fusion di Young ben si coniuga con quello di Mustaine ed i brani sono un susseguirsi di emozioni forti. Da Mary Jane alla drammatica In My Darkest Hour (sentito omaggio tributato a Cliff Burton, morto due anni prima) fino a Set The World On Fire e Anarchy in the UK (reprise del celebre inno degli idoli Sex Pistols con l’ospite Steve Jones), che diventa un hit da Top 20 nella classifica inglese.
Coinvolta in un’estenuante tournee mondiale (e nei soliti guai con gli stupefacenti) la band si sfalda perdendo sia Young che Samuelson; Mustaine - sempre in compagnia del fidato Ellefson - si barcamena con una cover di Alice Cooper (No More Mr. Nice Guy) prodotta, tra mille litigi, dal Re Mida del Pop-Metal (Desmond Child) e presente nella colonna sonora di uno dei film più visti nel 1989: Shocker.
E’ proprio grazie a questo stratagemma che i Megadeth sopravvivono conservando una certa visibilità sino al 1990. Seppur alle prese con il ricorrente problema-droga Mustaine cerca di rifondare la sua creatura. Dopo aver incassato i secchi rifiuti dei chitarristi Jeff Waters (Annihilator) e Dimebag Darrell (Pantera), sono prescelti due musicisti di assoluto spessore: il virtuoso della sei corde Marty Friedman (ex Hawaii e Cacophony) ed il batterista di estrazione jazz Nick Menza (in precedenza roadie degli stessi Megadeth e già dietro i tamburi su No More Mr. Nice Guy).
I risultati gli danno pienamente ragione. Rust In Peace (Capitol, 1990), forte dell’ intervento di Mike Clink dietro la consolle, è uno dei più bei dischi di Thrash Metal degli anni ‘90.
Le parti ritmiche appaiono in continua evoluzione formando un’ architettura complessa e serratissima nella quale ogni nota è pensata con furia maniacale. Friedman impazza con fraseggi ed assoli da brivido (la celeberrima Hangar 18, un tour de force di violenza ed armonia tuttora ineguagliato), Menza ed Ellefson conducono le danze con precisione e stile (Dawn Patrol), Mustaine prorompe nel suo efficace grido strozzato (l’iper-tecnica Holy Wars…The Punishment Due e Tornado Of Souls). Della brillantezza della scrittura ne beneficiano anche le liriche imperniate su tematiche religiose (Holy Wars…The Punishment Due), science-fiction (Hangar 18), esoteriche (Five Magics) o fortemente personali (l’amarissima Lucretia, quasi una confessione di Mustaine).
Sulla spinta di entusiastiche reazioni di stampa e pubblico, i “nuovi” Megadeth affrontano nuovamente le platee statunitense ed europea, dapprima col il Clash Of The Titans Tour (dividendo il palco con Alice In Chains, Anthrax, Suicidal Tendencies, Testament e Slayer), poi da headliner ed, infine, come una delle principali attrazioni del Monsters Of Rock del 1992 nel quale presentano i brani del quinto LP: Countdown To Extinction (Capitol, 1992). Quest’ultimo, rispetto al predecessore, presenta un notevole rallentamento dei ritmi (i mid-tempos prevalgono nettamente sulle usuali sfuriate) cui corrisponde una certosina perfezione degli arrangiamenti ed impone tre singoli da Top 20 (Symphony Of Destruction, Skin O’ My Teeth e la semi ballad ecologista Foreclosure Of A Dream) divenendo il primo vero successo di massa per i Megadeth. Complice la produzione di Max Norman, l’esuberanza tecnica è messa in secondo piano in favore di un approccio più diretto, maggiormente interessato a brani di senso compiuto e profondo respiro, piuttosto che a mere acrobazie strumentali.
Mustaine dimostra di aver imparato a modulare il suo timbro allo stesso modo di quanto fatto nel corso degli anni da James Hetfield ed in effetti le similitudini con “gli ex nemici” Metallica (per i quali fungono da gruppo di apertura in vari concerti in Europa) iniziano a far capolino per poi sfociare definitivamente in Youthanasia (Capitol, 1994), sorta di “Black album” dei Megadeth. La volontà di strizzar l’occhio alle classifiche è evidente in una manciata di brani impeccabili (Reckoning Day, Train Of Consequences, I Thought I Knew It All e la nuova ballata A Tout Le Monde) ma che cominciano a far mormorare i fans di vecchia data. Questa scelta, comunque, si dimostra la più opportuna per Mustaine e soci che sbancano nuovamente le charts, confermandosi come una delle band leader non solo della scena Metal, ma ormai anche di quella Rock.
L’anno successivo esce Hidden Treasures (Capitol, 1995), raccolta di brani tratti da colonne sonore e cover di Black Sabbath (una scolastica rilettura di Paranoid) e Sex Pistols (Problems).
Seguendo un iter stilistico prossimo a quello dei Metallica, i Megadeth pubblicano in seguito Cryptic Writings (Capitol, 1997), sempre all’insegna di un approccio melodico e meditato (l’ottima Trust, dove compaiono sorprendenti partiture affidate ad archi), in chiave più hard che metal (Almost Honest e Have Cool Wll Travel). Il suono - levigato all’ inverosimile dal produttore Dan Huff - assume quasi toni da Rock FM (l’ennesima ballad, l’orchestrale Use The Man) ed incontra immediatamente i favori del pubblico statunitense che ne decreta il successo a differenza di quello europeo.
La rottura definitiva con i fans degli esordi è ormai alle porte e giunge con l’ottavo album Risk (Capitol, 1999) che segna un’ulteriore novità: l’ingresso del nuovo batterista Jimmy DeGrasso (ex Y&T, White Lion) in luogo di Menza. La conversione all’Hard Rock melodico da classifica pare quasi il disperato tentativo di salvare una carriera che non è mai riuscita a raggiungere il livello degli “amici/nemici” Metallica. Mustaine ha ormai chiuso con le droghe, ha messo su famiglia e vorrebbe semplicemente riuscire ad imporsi oltre l’audience Metal, anche per questo scrive ben cinque brani assieme al manager Bud Prager (cui sarà dato il benservito di lì a poco).
Il primo singolo (Crush ‘Em, un Boogie Rock tronfio e privo di mordente) è l’avvisaglia che stavolta qualcosa non torna. Ed infatti Risk flirta in maniera imbarazzante con gli stili più disparati - dai Bon Jovi agli Stone Temple Pilots per finire ai Nine Inch Nails - centrifugandoli in un insieme spesso confuso (Insomnia).
Neanche la ballad di turno (Breadline) riesce a risollevare un livello generale che si attesta sulla mediocrità ed il grosso pubblico, per la prima volta, volta le spalle ai Megadeth che, abbandonati anche da Friedman, sono scaricati dalla Capitol (che nel 2000 pubblica la trascurabile raccolta Capitol Punishment) ed approdano alla Sanctuary.
Ridimensionate le proprie ambizioni (egualmente ai Metallica, scivolati a loro volta verso improbabili derive Rock con Load e Re-load), Mustaine chiama il chitarrista Al Pitrelli (Asia, Widowmaker, Savatage) a condividere le responsabilità chitarristiche.
Il primo parto di questo nuovo sodalizio è il doppio album dal vivo Rude Awakening (Metal Is, 2000), penalizzato da una registrazione poco incisiva che mette in risalto la carenza di amalgama di un gruppo ormai in crisi; l’agonia si protrae nel successivo lavoro in studio (The World Needs A Hero, Metal is, 2001), mesto tentativo di recuperare i vecchi aficionados che, però, non concedono la prova d’appello. Burning Bridges cerca - invano - di ripercorrere l’epicità degli esordi, Dread And The Fugitive Mind alza i ritmi ma è impalpabile, Return To The Hangar - strombazzato seguito della storica Hangar 18 - si trascina stancamente tra svisate solistiche poco ispirate. Come da tradizione, Mustaine non accenna a cedere lo scettro della leadership compositiva ad alcuno (nel caso Pitrelli, che co-firma soltanto un’anonima canzone) ed il disco registra un fortissimo contraccolpo nelle vendite inducendo la band all’inevitabile scioglimento.
Tuttavia nel 2003, Mustaine, liquidato lo storico partner Ellefson, resuscita i Megadeth, coadiuvato dal ritrovato Chris Poland e dal turnista Vinnie Colaiuta.
Il frutto di questa collaborazione è The System Has Failed (Sanctuary 2004), buon ritorno a sonorità oltranziste, eseguito ineccepibilmente, seppur non memorabile dal punto di vista compositivo, che consente a Mustaine di imbarcarsi nell’ ennesima, estenuante, tournee. In questa, è affiancato stavolta dai fratelli Glen (chitarra) e Shawn Drover (batteria), onesti mestieranti prelevati dai carneadi canadesi Eidolon nonché da James MacDonnough, ex bassista in precedenza in forza agli Iced Earth.

© CM 2006

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